Matilda De Angelis: «La mia Matilde in cerca di una via d’uscita»
«Una ragazza dal passato turbolento», cresciuta da «una madre incapace di ricoprire questo ruolo» e alle prese con gravi disagi economici, che «nella sua ingenuità, decide di fare soldi spogliandosi davanti a una webcam». È Matilde, una 18enne che decide di mettere all’asta la propria verginità «per sopperire al debito della propria famiglia», raccontata in esclusiva per noi da Matilda De Angelis, l’attrice che le ha prestato il volto in Youtopia, nelle sale dal 25 aprile.
Perché arriva a compiere questa scelta?
«Matilde non ha gli strumenti per capire che esiste un’altra via d’uscita, un’alternativa. La sua decisione è quasi consapevole, come se fosse l’unico modo per guadagnare un sacco di soldi in fretta, ed è condivisa con la sua famiglia. La madre non riesce a prendere in mano la sua vita e acconsente a questa cosa. Matilde è vittima degli eventi, oltre che essere vittima di se stessa e di una famiglia che non la supporta».
Come ti sei preparata per interpretare questo ruolo?
«All’inizio ero un po’ bloccata e ho dovuto lavorare molto: questo personaggio aveva bisogno di una certa preparazione dal punto di vista fisico, dovevo conquistare disinvoltura con la mia nudità quindi, nelle settimane precedenti alle riprese, ho fatto un lavoro molto interessante con una coach americana che insegna il metodo Strasberg, sull’uso del mio corpo come strumento “commerciale”».
Qual è stato il momento più difficile da affrontare durante le riprese?
«Non c’è stata la solita spensieratezza, è stata un’esperienza molto dura: ero sempre molto concentrata, cercavo di restare sempre in contatto con il mio “nero”, di scavare nel mio torbido e nei miei fantasmi. Ero dimagrita, consumata… per fortuna ho girato solo per tre settimane!».
La verginità è ancora un valore?
«La perdita della verginità – soprattutto nella vita di una ragazza, che vive la sessualità diversamente dagli uomini – è un rito di passaggio, un salto, un momento importante. In questo mondo in cui tutto è “social”, tendiamo a dimenticare l’importanza dell’intimità: dare accesso a qualcuno alla nostra parte più intima è più facile, più immediato».
È davvero possibile arrivare al successo in maniera facile e divertente, utilizzando il proprio corpo, come fa Matilde in Youtopia?
«Il caso di Matilde è un po’ estremo, perché non ottiene un vero e proprio successo: pensa di avere bisogno del proprio corpo per raggiungere un obiettivo fine a se stesso. Tante persone cercano di arrivare al successo utilizzando il proprio corpo, è una scelta che non giudico e non condanno, se è consapevole e non deriva da una costrizione, ma personalmente la non condivido. Il corpo cambia, invecchia… non si può vivere solo di quello, bisogna coltivare qualcosa di più profondo».
Sei una millennial, cresciuta e “immersa” nelle nuove tecnologie: come utilizzi i social network e, più in generale, qual è il tuo rapporto con il web?
«Utilizzo Instagram e Facebook, come la maggior parte dei miei coetanei, in maniera molto spensierata e disinvolta, per promuovere i lavori che faccio e per aggiornare i fan – che sono la mia linfa vitale – sui miei progetti. Cerco di essere più autentica possibile, per quanto sui social diamo sempre un’immagine di noi che non può rispecchiare al 100% la nostra verità… ma è anche giusto così! Penso che anche il web sia un strumento estremamente democratizzante, perché è gratuito e dà la possibilità di conoscere e di entrare in contatto con persone che sono a migliaia di chilometri di distanza. C’è però anche un aspetto negativo, perché a volte è utilizzato con superficialità e ignoranza e può diventare pericoloso, come i social».
Adolescenti e adulti si rifugiano nel mondo virtuale, per trovare un’alternativa o sfuggire alla realtà: cosa ne pensi?
«Ci sono degli estremismi anche in questo, mi viene in mente il fenomeno Hikikomori in Giappone: persone che scelgono di isolarsi, di alienarsi completamente dalla realtà e di vivere solo nel mondo virtuale, forse perché si trovano più a loro agio. Non siamo tutti fortunati, ci sono anche persone che hanno delle fragilità e che nell’universo virtuale riescono a trovare il proprio spazio, fino a diventarne completamente dipendenti. È uno specchio della società in cui viviamo, ma è un fenomeno che mi spiazza».